L’ancestrale dilemma che attanaglia chiunque voglia accingersi ad elaborare un progetto di comunicazione visiva è senza dubbio, o nella maggior parte dei casi, legata all’utilizzo del carattere da utilizzare per l’head line (titolo) e per il sub head line (sottotitolo) in relazione al testo esaustivo dei contenuti chiamato body copy.
Molti dei caratteri prescelti per la stampa tradizionale mal si pongono per essere fruiti dai nuovi supporti di generazione informatica: monitor, tablet, ecc. a causa delle “grazie” (abbellimenti tipografici delle lettere, che dovrebbero servire per rendere più leggibile il carattere) ma che non ottengono il risultato voluto sul monitor (quello cioè di rendere le lettere maggiormente riconoscibili e di conseguenza il testo più leggibile), ma ottengono invece l’effetto contrario, si preferisce di solito utilizzare dei caratteri senza grazie come il “Verdana”, l’”Arial” o l’”Helvetica”.
Vorrei sfatare un mito: nella scelta del carattere tipografico non si manifesta la nostra creatività ma soltanto la pura e semplice “leggibilità”. Se un manifesto, un depliant o anche un sito internet è percepito come brutto, lo sarà indipendentemente dalla scelta del font (carattere informatico) a causa della sua gabbia, dell’accostamento cromatico, dell’utilizzo e della disposizione dei visual (immagini).
Allora tanto vale far assolvere alla sua funzione il carattere inteso come facilitatore della narrazione, eliminando tutto quello che potrebbe essere fastidioso alla vista e possa far distrarre, così da non affaticare anche gli occhi. Del resto basta fare mente locale sul perché i libri di narrativa non sono composti da caratteri bastoni ma bensì da caratteri ingentiliti da grazie per trarre subito delle conclusioni.
Un’ultima nota va fatta per il numero di font da utilizzare. Non è vero che più caratteri adoperiamo e maggiormente impreziosiamo un elaborato grafico, al massimo sortiamo l’effetto opposto in una inutile e pirotecnica apoteosi kitsch.